domenica 20 aprile 2014

requiem per un boxeur di strada

nihil humani ad me alienum puto

E' stato ritrovato morto nella sua abitazione, priva di luce e acqua, Marco Panciroli, 70 anni.
Molti lo ricorderanno come lo schiaffeggiatore, per il vizio che lo colse brevemente, verso la mezza età di schiaffeggiare donne che, a suo dire, lo guardavano male.
Tale attività, che gli frutterà, giudicato sano di mente, qualche ulteriore anno di prigione, segnava, con la scelta di tanto deboli partner, l'inizio del viale del tramonto e confermava, a dispetto della perizia, oltre che evidenti e irrisolti problemi nei rapporti con l'altro sesso, un disturbo psichico, che gli sarà riconosciuto solo a pena scontata, .
Nasce nel 1946, figlio naturale di Norge, una combattiva mondina, divenuta operaia, originaria di Reggio Emilia. Vive alla Bicocca, nelle case popolari di via Cavigioli, che accolgono gli sfollati della bidonville della Piazza d'Armi.  A scuola non va bene e viene messo subito sotto osservazione da Marcella Balconi, ci sono problemi nella sfera affettiva.
Dopo le elementari è apprendista nell'officina di un fabbro ferraio. Ancora piccolo e piuttosto mingherlino, è lo zimbello dei suoi colleghi più grandicelli.
L'officina lo forgia fisicamente, ma è poco formativa sul lato del carattere, o forse peggiora le cose. A metà degli anni 60, ormai uomo, Marco ha un fisico poderoso, ma è violento, permaloso e attaccabrighe.

Approdo naturale, per lui, l'Angolo delle Ore, dove si radunano i ragazzi difficili della città, usciti dal Ferrante Aporti, o in procinto d'entrarvi, tutta gente che, come lui, ha difficoltà ad adattarsi socialmente in una città pettegola, bigotta e ipocrita.
Ma ci resta ben poco, Il 26 giugno 1969 è una calda sera di prima estate che invita alla trasgressione. Con Tino Varisco, dopo un micidiale mix di alcol e amfetamine, aggredisce, con pretestuosi motivi, la ronda dell'aeronautica.
E' l'inizio di quella che sarà definita la seconda (o terza) battaglia di Novara, questa volta tra militari e cappelloni.
Ma loro non se la godono, rubata una 500, si dirigono verso la Riviera. Lungo il tragitto, rapinano un benzinaio, poi, esausti, si fermano poco più avanti, in una piazzola, dove li sorprende, profondamente addormentati, la polizia.
Le imputazioni sono pesanti, ma siamo in Italia, ci vorrebbe altro. Senonché, il brutto carattere di Marco non inclina alla buona condotta e così colleziona una serie di reati durante la detenzione, compresi quelli per la rivolta di Trani, dove lo conciano per bene.
Dieci anni volano e ritorna in città solo alla fine degli anni 70. 
Con quel fardello di galera sul gobbo, Marco sa che può ambire al rispetto del milieu, ma comincia male. Convinto che quella sia la strada per ritagliarsi un ruolo di preminenza, dedica i primi tempi della ritrovata libertà a sfidare i guappi, ormai un po' imbolsiti, dei tempi della sua breve gioventù, e volano fior  di cazzotti.
Evidentemente, dietro le sbarre, il tempo si è fermato e Marco è rimasto quello che era, un teppista, mentre i suoi amici si sono evoluti. Qualcuno è già morto, altri si sono redenti, altri ancora sono emigrati all'estero, ma quelli che hanno continuato il difficile mestiere, adesso sono dei malavitosi seri, con concreti interessi da difendere e hanno ben altri deterrenti dei pugni.
Assolutamente incapace di reinserirsi nella vita sociale - la galera ha clamorosamente fallito il suo scopo - Marco si trova ai margini anche della malavita.
Non sa rubare, non spaccia droga e non ha l'umiltà e la disciplina per fare il gorilla di un boss.
In altri tempi, la sua collocazione ideale sarebbe stata lo sfruttamento della prostituzione, ma il settore, in quegli anni, è in crisi. In mancanza di puttane, cerca di sfruttare una sarta, più anziana di lui, con cui la mamma ha cercato di fidanzarlo. Ma l'amore per i sudati risparmi ha la meglio e la sarta, rinunciando agli ardori, lo caccia di casa. 
Torna per un po' dalla mamma, in via Cavigioli e finché resta aperto il Ramlin, il buon Angelo gli passa qualcosa, come ufficioso buttafuori di se stesso
Ma è proprio lì, in via Ravizza, che Marco deve assaggiare un doloroso contrappasso, questa volta, ad essere invecchiato, è lui. 
Renatino ha un passato da tossico e deve avere più di una ruggine con lui. Viene a cercarlo, e lo invita ad uscire, per una sfida in piena regola. E' armato di una pesante catena di ferro e, per non farsi disarmare, se l'è fatta saldare al polso.
Panciroli ha ancora un fisico possente, ma la gioventù e l'agilità di Renato hanno la meglio, per non parlare della catena. Gli torna in bocca l'amaro sapore di Trani.
Quando Norge, ormai anziana viene ricoverata al De Pagave, il Comune lo sfratta. Ma  lui non si perde d'animo, riconsegnate le chiavi di casa, provvede a scassinare una finestra e ogni sera torna a coricarsi per quella via, contando sull'assoluta discrezione dei coinquilini.
E' in questa situazione, in cui è innegabile anche un evidente risvolto affettivo, che Marco, ormai sulla cinquantina, attraversa un nuovo periodo di agitazione, che culminerà negli episodi degli schiaffeggiamenti.
C'è anche, nel frattempo, un brevissimo - forse squallido - amore. Dura solo una notte. 
Da qualche parte ha rimorchiato una tossicodipendente e attraverso la finestra l'ha portata nel suo quartierino. Ma la ragazza è davvero consunta e, alla mattina, se la ritrova cadavere.
E' davvero un bel guaio, perché il Comune provvede a murare porte e finestre dell'abitazione e lui si ritrova letteralmente per la strada. Anche Norge muore.
Si trasferisce sull'Allea e per molti mesi vive all'addiaccio. Sembra aver perso la sua determinazione, non mangia, dimagrisce e quando è ben ben debilitato, qualcuno ne approfitta per saldare vecchi conti.
Poi qualcuno si accorge di lui. Gli viene assegnato un alloggio e viene indirizzato alla mensa del Sacro Cuore. Lavora, per modo di dire, in una cooperativa sociale. riprende peso e. col peso, riprende anche, talvolta, i modi da guappo, ma ha dei definitivi da scontare e sparisce per un po'.
Quando torna è ormai un anziano, con la pensione ci vecchiaia, che integra chiedendo qualche spicciolo ai conoscenti. Il tono dell'estorsione è ormai dismesso, sostituito, sia pure molto dignitosamente, da quello dell'elemosina.
Non aveva amici, giacché nessuno lo ha conosciuto abbastanza per intravedere sotto la scorza la sua umanità. Né lui fece mai nulla per rivelarne una benché minima porzione, preferendo essere temuto che amato. Ma era un uomo e aveva certamente una sua umanità che mi dispiace di non aver cercato abbastanza. Requiescat.