domenica 1 dicembre 2013

frammenti di vite in frantumi


Un settimanale di Novara ha pubblicato la storia di Gianni Belliardi, 58 anni, un ragioniere divenuto clochard in seguito alla crisi economica.
Naturalmente, come spesso accade per le notizie di stampa, le cose non stanno affatte così.
Il supposto Belliardi (noi crediamo che si chiami altrimenti) era figlio unico di madre vedova. Da ragazzo subì una seria operazione cardiaca e ciò acuì, nella madre, una già naturale predisposizione all'iperprotezione.
Sotto le ali della mamma chioccia, Gianni crebbe senza affrontare quelle esperienze, belle o brutte, che si chiamano, a giusta ragione, formative.
Per questa ragione, non lavorò mai, né prima, né dopo la crisi economica.
Alla morte della madre, che gli lasciò un appartamento e - molto probabilmente - una rendita, Gianni affrontò quella libertà a cui non era abituato, senza avere interiorizzato elementi normativi autonomi. Dall'assoluta eteronomia, passò a un'altrettanto completa anomia. E per prima cosa si cavò le scarpe.
Attualmente, Gianni dorme nel garage di casa, avendo - a suo dire - smarrito le chiavi dell'appartamento. Essendo affetto dalla sindrome di Diogene, è invece più probabile che i locali siano ormai ingombri dei rifiuti ammassati o che, a lungo andare, si siano deteriorati i rapporti con i vicini di casa, e preferisca evitarli.
La crisi economica non c'entra, dunque, un bel niente, qui si tratta di ben altra crisi.
La storia di Gianni è emblematica di un'area lasciata scoperta dall'attuazione della sacrosanta legge 180. Senza famiglia, Gianni è lasciato a se stesso e alle sue diminuite capacità di affrontare le situazioni esistenziali.
Bisogna vedere fino a che punto ciò sia un male, dopotutto Gianni vive la vita che vuol vivere e il fastidio che dà agli altri, ammesso che ci sia, è minimo e assimilabile a quelli che può dare un normale vicino di casa.
Anche la considerazione del fatto che esposizione al freddo e omissione d'igiene siano fattori di rischio, non sposta la sostanza del problema, Gianni rischia come rischiano i fumatori, gli automobilisti imprudenti e i consumatori di lipidi, tutte categorie (per ora) non marchiate dallo stigma psichiatrico.
Molto peggio, secondo me, è andata al mio amico, e suo coetaneo, L. F.

Il mio amico L. F. soffre di disturbi della memoria a breve. Un disturbo fastidioso e avvilente che, per molto tempo, è stato conciliabile con standard di vita normali.
Ha poi avuto, probabilmente in seguito ad un assunzione di farmaci, della cui prescrizione non saprei dire, un episodio di delirio.
Per sua fortuna (o disgrazia?), L. una famiglia ce l'ha.
Detto fatto, nominato un amministratore di sostegno, L. è stato rinchiuso in una struttura che ospita, per lo più, anziani non autosufficienti.
Quasi subito, su sollecitazione della famiglia, la direzione sanitaria ha proibito le visite degli amici.
Per uno che soffre di disturbi della memoria, una terapia che lo isola completamente dal suo ambiente sociale appare, quanto meno, curiosa. Forse è una forma di omeopatia.
L. aveva degli amici avvocati, ma di quegli avvocati di paese che abbiamo qui, abituati a trattare le cause al caffè. Informati, avevano promesso sfracelli, ma poi si sono tirati subito indietro, facendo gesti vaghi, di persone ben informate che consigliano per il meglio.
Del tempo è passato e immagino che le condizioni di L. si siano ormai deteriorate e che la diagnosi, qualsiasi sia stata, si sia rivelata una profezia che andava comunque avverata.
Quando penso al mio amico, non so perché, mi viene in mente che se Penelope fosse stata nominata amministratore di sostegno, le Colonne d'Ercole sarebbero rimaste inviolate.